Il genocidio del popolo armeno. Franz Werfel, “I quaranta giorni del Mussa Dagh”

di Antonio Prampolini

Il romanzo

Nel novembre del 1933 viene pubblicato dalla casa editrice austriaca Paul Zsolnay Verlag[1] il romanzo Die vierzig Tage des Musa Dagh (“I quaranta giorni del Mussa Dagh”) dello scrittore ebreo praghese, di lingua e cultura tedesca, Franz Werfel[2]. Il romanzo racconta la storia dell’eroica resistenza contro i turchi di alcuni villaggi armeni della costa mediterranea dell’Anatolia, al confine con la Siria. Per evitare la deportazione e la sicura morte nel deserto siriano, decretate dal governo ottomano dei “Giovani Turchi”[3], circa cinquemila armeni si erano rifugiati, nell’estate del 1915, sul Musa Dagh, la “Montagna di Mosè”[4]. Werfel lo aveva scritto dopo un lungo viaggio in Medio Oriente, dove aveva visitato, insieme alla moglie Alma Mahler[5], oltre all’Egitto e alla Palestina, la Siria. A Damasco era rimasto colpito dalle terribili condizioni di sfruttamento degli orfani armeni sopravvissuti alla deportazione. Come ricorda lo stesso autore nella prefazione alla prima edizione:

Quest’opera fu abbozzata nel marzo dell’anno 1929 durante un soggiorno a Damasco. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l’inconcepibile destino del popolo armeno[6].

Il romanzo, che non si limita a narrare le vicende della resistenza sul Musa Dagh, ma descrive anche il contesto (storico, politico, culturale, psicologico) in cui viene concepito e attuato nell’Impero Ottomano il “genocidio”[7] della minoranza armena durante il primo conflitto mondiale, è un’opera monumentale di un migliaio di pagine che si articola in tre parti (Bücher): “L’avvicinarsi degli eventi” (Das Nahende), “Le lotte dei deboli” (Die Kämpfe der Schwachen) “Tragedia, salvezza, tragedia” (Untergang – Rettung – Untergang).

La prima parte del romanzo è incentrata sul personaggio principale, Gabriele Bagradiàn[8], un ricco armeno, che da Parigi, dove conduceva una vita agiata, ritorna, in compagnia della moglie francese e del figlio tredicenne, a Yoghonoluk, il suo villaggio natale, ai piedi del Musa Dagh. Lo scoppio della prima guerra mondiale impedisce alla famiglia Bagradiàn, privata dei passaporti dalle autorità turche, di muoversi liberamente, confinandola nella casa avita. I primi tempi del soggiorno forzato a Yoghonoluk trascorrono relativamente sereni, tra ricordi d’infanzia e riscoperta delle radici armene, nell’incanto di una natura paradisiaca. Ma il quadro muta rapidamente con il sopraggiungere incalzante delle notizie sulle prime deportazioni degli armeni dagli altri territori dell’Impero Ottomano e, soprattutto, con l’arrivo a Yoghonoluk dei profughi scampati alla violenta repressione della rivolta armena nella vicina città di Zeitun[9]. Gabriele Bagradiàn, che aveva servito come ufficiale di artiglieria nell’esercito ottomano durante la guerra balcanica del 1912, prende coscienza della gravità della situazione e, per evitare la deportazione delle popolazioni dei villaggi ai piedi del Musa Dagh, progetta il loro trasferimento sulla montagna e la resistenza armata contro i turchi.

Nel capitolo intitolato Zwischenspiel der Götter (“Intermezzo degli dei”), Werfel descrive l’incontro, realmente avvenuto, tra il missionario protestante di nazionalità tedesca Johannes Lepsius[10], animato dal desiderio di soccorrere il popolo armeno, e il ministro della guerra turco Enver Pascià (Enver Paşa o Ismail Enver)[11], uno dei principali responsabili delle deportazioni e del genocidio di quel popolo. Nel brano che segue, Werfel dà prova delle sue straordinarie capacità di scrittore che sa indagare in profondità la psicologia degli uomini e la natura delle forze che governano il loro destino, e, tra queste, la “banalità/ingenuità” del male[12].

Lepsius, rivolgendosi a Enver Pascià:

«Mi dia i pieni poteri di organizzare le colonne della deportazione. Dio mi concederà la forza, e d’esperienza ne ho più di qualsiasi altro. Non ho bisogno di un soldo dalla Stato ottomano. Troverò io stesso tutto il denaro necessario. […]»

Questa volta Enver Pascià ha ascoltato non solo con l’abituale attenzione, ma con vera curiosità. Sennonchè Lepsius si trova ora di fronte a qualcosa che non ha ancora veduto o udito. Non una crudeltà beffarda, non un cinismo muta l’espressione fanciullesca del volto del generale. No, Lepsius vede il viso glaciale dell’uomo che “ha superato ogni sentimentalità”, il viso dell’uomo che sta di là dalla colpa e dai suoi rimorsi, vede il grazioso volto di precisione di una specie a lui sconosciuta ma che gli toglie il respiro, vede l’ingenuità inquietante, quasi persino innocente, della perfetta empietà. […]

«Le sue stimabili intenzioni m’interessano» dice Enver in tono di considerazione, «ma naturalmente devo respingerle. Codesti suoi desideri appunto mi mostrano che finora ci siamo fraintesi. Se io concedo ad uno straniero di recare aiuto agli armeni, creo con ciò un precedente, che riconosce l’intromissione di personalità straniere e quindi di potenze estere. […] No, mio signor Lepsius, questo è impossibile, io non posso concedere che degli stranieri benefichino questa gente. Gli armeni debbono vedere soltanto in noi i loro benefattori.»

Il pastore cadde sulla sedia. Tutto è perduto! Fallito! Ogni altra parola è superflua. Almeno quell’uomo fosse malvagio, pensa con desiderio, almeno fosse Satana. Ma non è malvagio e non è Satana, è simpatico come un fanciullo, quel grande inesorabile assassino di moltitudini[13].

La prima parte del romanzo, che svolge una funzione introduttiva, contiene diverse pagine in cui Werfel, vestendo i panni dello storico, offre al lettore elementi di riflessione indispensabili per una piena comprensione della tragedia del popolo armeno. Di seguito riportiamo due brani che si distinguono per l’acutezza dell’analisi storica, oltre che per la qualità narrativa.

Confrontando i massacri degli armeni del XIX° Secolo (i “massacri hamidiani”, dal nome del sultano Abdülhamid II[14]) con la deportazione organizzata dal governo dei “Giovani Turchi” durante la prima guerra mondiale, Werfel invita a «distinguere bene fra massacro e deportazione»:

Il primo durava quattro, cinque, alla peggio sette giorni. Il valoroso trovava sempre occasione di vendere cara la propria vita, per le donne e per i fanciulli si apprestavano in fretta dei nascondigli, la sete di sangue dei soldati furiosi si estingueva presto […]. Il governo, pur avendo sempre organizzato lui questi macelli, non se ne era però mai riconosciuto il promotore. Essi nascevano dal disordine e morivano nel disordine. Il disordine era stato ancora la parte migliore di queste infamie e la sorte peggiore la morte. Non così la deportazione! In questo caso poteva chiamarsi ancora fortunato chi ne era liberato dalla morte, fosse anche la più crudele. La deportazione non passava come un terremoto, che risparmia sempre una parte degli uomini e delle case. La deportazione durava fino a che l’ultimo del popolo moriva, ucciso dalla spada o affamato sulla strada maestra o assetato nel deserto o portato via dal colera e dal tifo petecchiale. Questa volta non regnava l’arbitrio disordinato e l’ebrezza di sangue aizzata, ma qualcosa di ben più terribile: l’ordine. Tutto si svolgeva secondo un piano elaborato nei ministeri di Stambul [Istanbul][15].

Nel paragonare le evacuazioni forzate delle popolazioni che in Europa vivevano negli insediamenti a ridosso dei diversi fronti della prima guerra mondiale con la deportazione degli abitanti della città di Zeitùn e, più in generale, degli armeni di tutti i villaggi dell’Impero Ottomano, Werfel spiega così la differenza:

Certo negli immensi territori di retrovia delle fronti di guerra europee tutte le città e tutti i villaggi furono ugualmente spopolati, ma, per quanto fosse grave questa sorte per chi veniva così privato della sua terra natale, essa non era paragonabile a quella dei “zeitunlì” [gli abitanti di Zeitun]. Gli evacuati della guerra erano condotti via dalla zona della morte per la loro propria difesa. Perfino in terra nemica si concedevano loro cura ed aiuto. Essi non perdevano la speranza di poter tornare a casa entro un periodo di tempo triste, ma non troppo remoto. Per gli armeni nessun cenno di protezione, di aiuto, di speranza. Essi non erano caduti in mano di un nemico che per ragioni di reciprocità dovesse rispettare il diritto dei popoli. Essi erano caduti in mano ad un nemico ben più terribile, libero da legami: al loro proprio Stato[16].

La seconda parte del romanzo, Die Kämpfe der Schwachen (“Le lotte dei deboli”), si apre con l’insediamento, nell’estate del 1915, degli armeni sul Musa Dagh. Nel primo capitolo, che ha un titolo emblematico: Unsere Wohnung ist die Bergeshöhe (“La nostra dimora è la cima della montagna”), Werfel descrive, con ricchezza di particolari e di riferimenti topografici, l’allestimento dell’accampamento, l’approntamento delle difese armene dall’imminente attacco turco, l’assegnazione degli incarichi militari e civili, il ruolo dei capi villaggio e dei sacerdoti, la non facile riorganizzazione della quotidianità della vita individuale e sociale di oltre cinquemila persone sradicate dalle loro case e dalle loro attività abituali, le difficoltà derivanti dalla messa in comune dei beni privati indispensabili alla sopravvivenza (le scorte alimentari, il bestiame). Il Musa Dagh si trasforma così in un microcosmo della società armena del tempo, alle prese con un evento straordinario: la guerra civile contro i turchi.

Nei capitoli successivi, l’autore sviluppa una narrazione coinvolgente, dove si alternano, in un intreccio incalzante, eventi bellici, vicende sentimentali, storie personali e drammi collettivi. Il lettore può così assistere al grande incendio della montagna da parte degli armeni, che costringe alla ritirata le truppe turche, all’innamoramento di Gabriele Bagradiàn per una giovane armena e a quello di sua moglie, la francese Juliette, per uno “straniero” (un cittadino greco-americano), alla repentina trasformazione di suo figlio adolescente, Stefano, che si spoglia dell’educazione europea ricevuta a Parigi per calarsi totalmente nel mondo armeno, all’entusiasmo del popolo del Musa Dagh per le vittorie sui turchi, alla fiducia nei propri capi, ma anche al timore diffuso di non poter resistere a lungo in quella situazione precaria.

Werfel descrive così lo stato d’animo degli armeni nelle prime giornate di permanenza sulla “Montagna di Mosè”:

Insuperabili rimanevano le condizioni della vita. Un ritorno nella valle non era possibile, un ritorno al passato paradisiaco dal quale quella piccola umanità era stata scacciata, senza conoscere la propria colpa, per un crudele ordine della suprema autorità governativa. Un ritorno non era possibile, in compenso c’erano uomini cospicui, che avevano saputo procurare al popolo una buona rassegnazione alla propria miseria […] così che gli animi fiduciosi in alcune ore serene potevano sperare: «il destino alla fine non assoggetterà i nostri capi, ma i nostri capi alla fine assoggetteranno il destino»[17].

Nell’ultimo capitolo della seconda parte del romanzo, Werfel, attraverso la riflessione di un alto funzionario del governo dei “Giovani Turchi”, in preda a dubbi dopo la sconfitta in un assalto al Musa Dagh, esprime la propria condanna non solo del genocidio armeno, ma di tutti i genocidi perpetuati o perpetuabili contro le minoranze etniche (a cui egli stesso apparteneva in quanto ebreo):

I deboli erano forti e i forti erano in verità senza valore […]. Avevano gli uomini il diritto di elaborare un piano per mezzo del quale un altro popolo doveva essere sterminato? C’era per lo meno un sufficiente motivo di utilità per un piano simile […]?. Chi decide se un popolo è migliore o peggiore di un altro? Gli uomini certo non possono deciderlo[18].

La terza parte del romanzo, quella conclusiva, Untergang – Rettung – Untergang (Tragedia, salvezza, tragedia) inizia con un capitolo dedicato nuovamente a Johannes Lepsius. Il missionario protestante incontra a Instanbul il capo religioso di una setta islamica di dervisci[19]. L’incontro serve a Werfel per dimostrare che la società turca non si identificava interamente con il movimento dei “Giovani Turchi” e con i tre pascià (Talât, Cemal, Enver) che governavano l’Impero Ottomano negli anni della prima guerra mondiale, e che, soprattutto, non tutti i turchi erano nemici degli armeni. Nei dialoghi che si intrecciano tra Lepsius e i rappresentanti della setta religiosa tradizionalista, Werfel inserisce, facendola in parte propria, una condanna delle responsabilità dell’Occidente (della Germania, innanzitutto) nella tragedia degli armeni. Di un Occidente che, in preda ai nazionalismi, aveva scatenato la prima guerra mondiale.

Il Türbedàr di Brussa (il “custode delle tombe dei sultani e dei santi”), rivolgendosi al pastore protestante:

«Il governo è colpevole di questa sanguinosa ingiustizia, tu dici. Ma in realtà non è il nostro governo, è il vostro. Il nostro è venuto a scuola da voi. Voi lo avete appoggiato nella sua empia lotta contro i nostri beni sacri. Ora esso mette in opera la vostra dottrina e il vostro pensiero. Tu devi quindi riconoscere che non noi ottomani ma l’Europa e i servi d’Europa sono colpevoli del destino del popolo per cui tu combatti»[20].

Nel secondo capitolo, Stephans Aufbruch und Heimkehr (“Partenza e ritorno di Stefano”), Werfel racconta la fuga dal Musa Dagh di Stefano, il figlio di Gabriele Bagradiàn, nel tentativo di raggiungere, insieme ad un amico, la sede del consolato americano ad Aleppo per consegnare una lettera contenente una richiesta di aiuto, e il suo triste epilogo: l’uccisione del ragazzo per mano dei turchi. Recuperato fortunosamente il corpo di Stefano da parte delle “vecchie” che vivevano, reiette, tra le tombe del cimitero di Yoghonolùk, il terzo capitolo, Der Schmerz (“Il dolore”), mette in scena il funerale del giovane nell’accampamento armeno sulla “Montagna di Mosè”.

Il quarto capitolo, Zerfall und Versuchung (“Disgregazione e Tentazione”), Werfel descrive la disperazione e il venir meno dello spirito di solidarietà della comunità armena, causate dalla perdita del bestiame, la principale fonte di sostentamento dei “resistenti”, in seguito ad una fortunata sortita dei turchi sui pascoli, indifesi, del Musa Dagh.

Nella confusione dello spavento generale chi dava il tono non era la classe inferiore del popolo, non i contadini poveri, i servi, i garzoni operai, ma una certa classe media, che si potrebbe chiamare dei “piccoli proprietari”, Questi si dimenavano come pazzi, gettavano per terra i loro berretti, si strappavano i capelli, gesticolavano ed eseguivano vere danze di disperazione. Ma la loro disperazione non era tanto per la fame imminente quanto per una perdita immaginaria. Gridavano che erano stati derubati delle loro proprietà, del loro ultimo bene. Chi credeva alle loro lamentele doveva avere l’impressione che i turchi avessero fatto un bottino di migliaia e migliaia di pecore. […] In tutte le loro lamentele si rivelava una morbosa mescolanza di angoscia, di millanteria e di vaneggiamento. Era un fenomeno di decadenza […]. L’assurdo si impadroniva delle anime in modo sempre più insidioso[21].

Le condizioni, fisiche e morali degli armeni dopo molti giorni di permanenza sulla “Montagna di Mosè” sono terribili: la fame, le malattie, la sfiducia dilagano. Agha Rifaàt Berekèt, un’autorità religiosa mussulmana, mossa da spirito caritatevole, visita i “resistenti” del Musa Dagh, portando aiuti umanitari:

L’Agha camminava in una nebbia di benedizioni, d’invocazioni d’aiuto, di preghiere lacrimose, di domande piene di speranze. Riusciva a stento a proseguire. Mai, neppure nei campi della deportazione, aveva veduto volti simili a questi sul Damlagik [Musa Dagh]. Le grinte febbrilmente selvagge degli uomini lo spiavano avide. Le braccia stecchite delle donne, pungenti dalle maniche lacere, gli mettevano sotto il viso i bimbi piccoli a guisa di mendicanti. Quasi tutti questi bimbi avevano teste grosse e ciondolanti da idrocefali sopra colli sottili, e nei loro occhi immensi e stupiti c’era una conoscenza che ai bimbi umani è vietata. L’Agha riconosceva che anche la più crudele marcia di deportazione non abbrutiva più di questo essere tagliati fuori dall’umanità. Credeva di capire che l’opera di distruzione sulle forze dell’anima supera l’assassinio dei corpi[22].

Nel quinto capitolo, Die Altarflamme (“La fiamma dell’altare”), Werfel racconta il tradimento dei disertori dell’esercito ottomano che avevano trovato rifugio sul Musa Dagh. Essi cercano di depredare gli armeni dei loro poveri averi e di catturare i loro capi, ma non riescono nell’intento. Durante l’azione, prende fuoco l’altare sul quale si celebra una funzione religiosa per invocare l’aiuto di Dio. L’incendio si estende all’intero accampamento, distruggendo non solo i beni materiali ma anche, e soprattutto, la residua volontà di resistenza del popolo della “Montagna di Mosè”. Nel sesto capitolo, Die Schrift im Nebel (“La scrittura nella nebbia”), Werfel descrive così lo stato d’animo degli armeni:

Guardavano inerti il fuoco, che non pareva appiccarsi alle capanne dal di fuori, ma erompere dal loro interno, come se fosse stato là ad aspettare solo quest’occasione. […] Ben presto tutti furono accoccolati per terra in fitta schiera sulla grande piazza, le donne, i fanciulli, i vecchi. Questi affamati non si mossero più. Sui visi terrei guizzava il bagliore dell’incendio senza che gli occhi lo avvertissero. Il loro atteggiamento annunciava un solo desiderio intenso, che a nessuno dei capi venisse in mente di pretendere da loro un passo, un gesto, la minima traccia di una nuova attività. Volevano restare lì accovacciati e non opporre resistenza sino alla fine[23].

L’incendio dell’accampamento, tuttavia, non provoca la sconfitta degli armeni del Musa Dagh, assediati dai turchi senza via di scampo. I bagliori delle fiamme vengono avvistati da una nave militare francese, che, incuriosita, devia dalla sua rotta al largo di Cipro ed entra nella baia di Alessandretta, avvicinandosi alla costa nel punto in cui si trovano gli armeni fuggiti dalla montagna. Ha così inizio, in modo del tutto fortuito, l’operazione di salvataggio[24]. Werfel, però, non vuole e non può terminare il romanzo con un “happy end”, un lieto fine. La salvezza dei “resistenti” del Musa Dagh (un evento significativo ma non rilevante nella storia complessiva del genocidio) non deve nascondere il tragico destino del popolo armeno nell’Impero Ottomano. Nell’ultimo capitolo, Dem Unerklärlichen in uns und über uns (“All’inesplicabile in noi e sopra di noi”), Werfel mette in scena la morte dell’eroe a simboleggiare questo destino. Gabriele Bagradiàn, il condottiero vittorioso, rimane sulla “Montagna di Mosè”, non vuole recidere il legame drammaticamente ritrovato con la terra degli avi, e, sulla tomba del figlio, si offre al piombo dei soldati turchi come vittima sacrificale.

Il romanzo, per l’argomento trattato, lo stile narrativo, la fama dell’autore, incontrò da subito il favore del pubblico europeo e americano[25]. All’edizione originale, in tedesco, del 1933 seguirono, negli anni immediatamente successivi, quelle nelle altre lingue: inglese (1934)[26], italiano (1935)[27], francese (1936)[28]. Il successo editoriale del romanzo di Werfel non riguardò però l’intera Europa. Nella Germania nazista il romanzo venne proibito, già all’inizio del 1934, pochi mesi dopo la sua uscita nelle librerie (novembre 1933), e bruciato nei primi roghi di libri organizzati dal regime: Werfel era uno scrittore ebreo e il romanzo rappresentava una critica inaccettabile, anche se indiretta, alle politiche antiebraiche di epurazione razziale del Reich hitleriano[29]. In Turchia, ovviamente, il libro non potè circolare e il governo della Repubblica turca, presieduta da Kemal Atatürk (1923 – 1938)[30], cercò anche di ostacolarne la diffusione negli altri paesi. Nel 1934 intervenne, con successo, presso le autorità americane al fine di impedire la realizzazione di un progetto holiwoodiano per una versione cinematografica del romanzo[31].

Nel mondo ebraico, europeo e americano, il romanzo di Werfel fu ben accolto fin dalle prime edizioni. Leggendolo, gli ebrei si identificavano con gli armeni e con le persecuzioni che quel popolo aveva subito da parte dei turchi. Durante la seconda guerra mondiale, la vicenda resistenziale del Musa Dagh rappresentò un punto di riferimento per chi, nei ghetti, voleva opporsi ai nazisti, e il romanzo di Werfel fu usato come una sorta di manuale per la difesa armata contro gli oppressori[32].

Dopo alcuni decenni di relativo oblio, oggi, il romanzo è tornato in auge grazie a numerose riedizioni e a nuove edizioni[33], occupando uno spazio di tutto rilievo sui media, e in particolare sul Web. Il capolavoro letterario di Franz Werfel conosce, pertanto, una “nuova giovinezza”, offrendo il suo contributo alla “riscoperta” del genocidio del popolo armeno, in una situazione geopolitica internazionale caratterizzata dalla grave crisi del Medio Oriente (con le sue inevitabili ripercussioni in Europa) e dal dramma delle minoranze cristiane che vivono in quella parte del mondo.

Il Web

I libri sono presenti nel Web sia come immagini di oggetti cartacei che come testi “smaterializzati”, separati dal loro originale supporto cartaceo (quando non nascono già in formato digitale), oppure circolano nella “ragnatela mondiale” attraverso le informazioni che li riguardano, e cioè come “metadati”. Tra i libri, non fa eccezione il capolavoro di Werfel. Impostando una ricerca su Google con il titolo del romanzo nelle lingue delle sue edizioni principali (tedesco, inglese, francese, italiano), i risultati confermano la varietà di forme, di modi, di ambienti di comunicazione in cui il romanzo viene proposto agli utenti della Rete[34].

La lunga lista generata da Google inizia con i siti delle librerie online, le cui pagine pubblicitarie mostrano il romanzo mediante la riproduzione della copertina del libro, accompagnata dai dati identificativi (titolo, autore, editore, ecc.), dalle informazioni commerciali finalizzate alla vendita (prezzo, disponibilità, termini di consegna, ecc.), e, in alcuni casi, da una breve descrizione del contenuto narrativo. Amazon[35] domina su tutte le librerie, offrendo il romanzo, sia nelle diverse edizioni cartacee che nella forma di ebook. Le prime edizioni dell’opera di Werfel (quelle che risalgono agli anni trenta del secolo scorso) si possono trovare, ancora numerose, sul sito di AbeBooks[36], il mercato on-line mondiale di libri rari e fuori catalogo (oltre che nuovi ed usati), ed anche su Ebay[37], la piattaforma universale di e-commerce, a dimostrazione che il romanzo aveva conosciuto, nella prima metà del Novecento, una grande diffusione sia nelle librerie che presso il pubblico dei lettori.

Google Books[38] (Google Libri, nella versione italiana) segnala, prevalentemente, le ultime edizioni del romanzo di Werfel, con le relative offerte delle librerie online e le disponibilità delle principali biblioteche nazionali e internazionali, consentendo, in alcuni casi (autorizzati dall’editore), di visualizzare “anteprime” più o meno ampie. Google Books è anche dotato di una speciale funzionalità, quella che permette di “scoprire” tutti quei testi, indicizzati dal sistema, che citano il romanzo (ulteriori informazioni si possono ottenere impostando la ricerca tramite Google Scholar[39]). Testi molteplici, che sottolineano l’importanza del capolavoro di Werfel nella cultura europea e americana del Novecento. A riprova di ciò, si possono anche consultare i cataloghi online (gli OPAC) dei sistemi bibliotecari nazionali, che confermano una presenza estesa e capillare del romanzo nei diversi paesi[40].

Nei siti delle librerie online e in Google Books, i libri sono talvolta accompagnati dalle “recensioni” dei lettori, che, pur riducendosi nella maggior parte dei casi a brevi commenti, costituiscono, insieme ai giudizi espressi nei blog e nei social network, la fonte documentale necessaria per conoscere le opinioni degli utenti della Rete sui libri segnalati. E questo è vero anche per il romanzo di Werfel. Nelle “recensioni” pubblicate sul Web, e relative alle diverse edizioni linguistiche, è possibile riscontrare (nonostante le mille pagine del libro) un generale gradimento per un’opera letteraria che non è certamente una “novità”, in quanto è stata scritta oltre ottanta anni fa. Ciò che attrae del romanzo di Werfel (indipendentemente dalla qualità delle traduzioni dal tedesco) è lo stile narrativo, moderno e dinamico (lo si potrebbe definire “cinematografico”), caratterizzato da un continuo alternarsi di “primi piani” sui singoli personaggi della resistenza armena con “panoramiche” sui paesaggi naturali e antropologici del Musa Dagh. Dai lettori viene apprezzata la capacità dello scrittore di creare personaggi dotati di una profonda umanità in un contesto storico il cui racconto, nonostante la drammaticità degli eventi, non scade mai in una macabra descrizione degli orrori. Werfel è infatti maestro nel fare coesistere la realtà con l’invenzione narrativa, in un intreccio dove la finzione diviene il mezzo necessario per dare «alla verità della storia carne, sangue e respiro»[41]. Alcune “recensioni” leggono il romanzo alla luce delle successive tragedie del Novecento, della Shoah in particolare; altre se ne servono per creare un parallelo tra il genocidio degli armeni e l’attuale condizione delle minoranze cristiane in Medio Oriente; come non mancano quelle che utilizzano il romanzo in chiave politica, per opporsi all’entrata della Turchia nell’Unione Europea.

I Quaranta giorni del Mussa Dagh, in quanto “romanzo storico”, vengono spesso citati, accanto alle tradizionali fonti documentali, nei testi sulla storia del popolo armeno[42]. Non fa eccezione il Web, dove sono numerosi i siti che richiamano il romanzo di Werfel, soprattutto in occasione della commemorazione del centenario del genocidio (24 aprile 2015)[43].

La lista generata da Google comprende anche le enciclopedie online. Wikipedia, edizione in lingua inglese, è quella che riserva la maggiore attenzione sia al romanzo che all’autore[44]. La voce The Forty Days of Musa Dagh[45] (alla data del 31 marzo 2016) è un testo consistente e ben documentato che comprende una dettagliata sinossi del romanzo, integrata da note sulla sua fortuna editoriale, sulle censure a cui era stato sottoposto negli anni trenta del Novecento e, in particolare, sull’accoglienza che il mondo ebraico aveva riservato a questa opera letteraria (argomento che viene anche affrontato in una voce specifica: Jewish response to The Forty Days of Musa Dagh[46]). La voce Franz Werfel[47] non si limita, come accade di norma nei dizionari biografici, a pochi dati essenziali, ma è ricca di informazioni sulla vita e sulle opere dello scrittore austriaco. Il particolare interesse dei “wikipediani” di lingua inglese per Franz Werfel e il suo romanzo lo si può spiegare con quello più generale per il genocidio armeno, a cui sono dedicate molte voci nell’enciclopedia. Voci che, tra i contributori -editors-, annoverano armeni, i quali si servono di Wikipedia come una vetrina internazionale per affermare, sul piano storico-culturale, la loro identità etnico-religiosa e le loro ragioni contro il “negazionismo”[48].

Numerose e assai eterogenee sono le pagine web segnalate da Google nelle ricerche impostate con il titolo del romanzo nelle diverse lingue delle sue principali edizioni. Google elenca una molteplicità di testi, immagini, audiovisivi, che, opportunamente riordinati e selezionati, rappresentano un’importante risorsa per costruire, con finalità didattiche o divulgative, un ipertesto multimediale sull’argomento. E’ infatti possibile “estrarre” dal Web, collegandoli fra loro: brani del romanzo, notizie sulla vita dell’autore, sintesi sulla storia del genocidio armeno, mappe dove vengono indicati i luoghi dei massacri e i percorsi della deportazione verso il deserto siriano, fotografie delle “marce della morte”, fotografie dei “resistenti” del Musa Dagh e del loro salvataggio da parte delle navi francesi, registrazioni audio di musiche etniche, video con spezzoni di film dedicati alla vicenda, e molto altro ancora[49].

Il Web, un universo documentale in continua espansione, anche in questo caso, riconferma tutte le sue utilità e potenzialità quale strumento irrinunciabile per l’acquisizione e la comunicazione della conoscenza nell’era digitale.


Note:

[1]La casa editrice Paul Zsolnay Verlag era stata fondata a Vienna nel 1924 dall’imprenditore ebreo ungherese Paul Zsolnay. Dal momento della sua nascita al 1938 (anno in cui, in seguito all’annessione dell’Austria alla Germania nazista, la casa editrice era stata “arianizzata”, costringendo Paul Zolnay a rifugiarsi in Inghilterra), la casa editrice, si era specializzata nella narrativa, distinguendosi per la pubblicazione delle opere di Egmont Colerus, Heinrich Eduard Jacob, Heinrich Mann, Franz Werfel e H. G. Wells. Per un approfondimento si rinvia alle voci di Wikipedia in lingua tedesca sulla casa editrice e sul suo fondatore: <https://de.wikipedia.org/wiki/Paul_Zsolnay_Verlag> e <https://de.wikipedia.org/wiki/Paul_Zsolnay>.

[2]Franz Werfel, Die vierzig Tage des Musa Dagh, 2 Bänden, Berlin-Wien [u.a.], Paul Zsolnay, 1933.

Nella scelta del numero dei giorni (quaranta) che danno il nome al romanzo, Werfel si era ispirato, non all’effettiva durata della resistenza degli armeni sul Musa Dagh (la “Montagna di Mosè”), che secondo alcune testimonianze non si era protratta per più di 36 giorni, ma, richiamando simbolicamente la Bibbia, ai quaranta giorni del diluvio universale e agli altrettanti del ritiro di Mosè sul monte Sinai (Flavia Amabile e Marco Tosatti, La vera storia del Mussa Dagh, Milano, Guerini e Associati, 2003).

Franz Werfel (Praga, 10 settembre 1890 – 26 agosto 1945, Beverly Hills, California), figlio di un commerciante ebreo di Praga, aveva combattuto nella prima guerra mondiale come soldato dell’esercito austro-ungarico. Al termine del conflitto si era trasferito a Vienna dove si era sposato con la vedova di Gustav Malher. Nel 1938, in seguito all’Anschluss, era emigrato in Francia. Nel 1940, ricercato dai nazisti, si era rifugiato a Lourdes, per poi fuggire avventurosamente attraverso i Pirenei in Spagna. Dal Portogallo riuscirà poi a raggiungere via nave gli USA, dove vivrà gli ultimi anni della sua vita. Werfel si era formato nell’ambiente culturale praghese degli scrittori ebrei di lingua tedesca che comprendeva autori della statura di Franz Kafka e Max Brod. A Vienna era entrato in contatto con Robert Musil, Egon Erwin Kisch e Franz Blei. Dopo un’iniziale adesione, nelle opere giovanili, allo stile degli “espressionisti”, Werfel si era “convertito” al romanzo storico con la scrittura e la pubblicazione di Juarez und Maximilian (1924), Verdi, Roman der Oper (1924), e soprattutto con Die vierzig Tage des Musa Dagh (1933), il suo capolavoro letterario. Nelle ultime opere inaugura «un periodo epico rifacendosi a una vena mistica e barocca»; così in Jeremias. Höret die Stimme (1937), in Der veruntreute Himmel (1938), in Das Lied der Bernadette (1941), e in Stern der Ungeborenen (uscito postumo nel 1946). Per una biografia di Franz Werfel si vedano: la voce e gli articoli dedicati allo scrittore nell’Enciclopedia Treccani online, <http://www.treccani.it/enciclopedia/franz-werfel/>, nei siti web della Poetry Foundation di Chicago, <http://www.poetryfoundation.org/bio/franz-werfel>, e dell’Austria-Forum, <http://austria-forum.org/af/Wissenssammlungen/Biographien/Werfel,%20Franz>. La letteratura sul romanzo storico “I quaranta giorni del Mussa Dagh” è molto vasta, ci limitiamo qui a segnalare, tra le risorse disponibili online: la conferenza di Peter Stephan Jungk, Franz Werfel und ‘Die vierzig Tage des Musa Dagh’, (Wiener Nationalbibliothek, 2006), <http://www.exilpen.de/Texte/jungk_werfel_070216.html>; l’articolo di Liel Leibovitz, The Best Holocaust Novel Ever, (2012), <http://www.tabletmag.com/jewish-arts-and-culture/books/101524/the-best-holocaust-novel-ever>; la nota introduttiva di James Reidel alla nuova edizione del romanzo in lingua inglese, The Forty Days of Musa Dagh, (Boston, David R. Godine, 2012), in versione elettronica: <http://www.nybooks.com/daily/2015/04/24/epic-armenian-genocide/>; la recensione di Oliver Kohns, Tragödie der Modernisierung. Zu Franz Werfels Interpretation des Genozids in seinem Roman „Die vierzig Tage des Musa Dagh“, <http://www.literaturkritik.de/public/rezension.php?rez_id=20517>. Tra le pubblicazioni cartacee, segnaliamo in particolare: Roy Knocke, Werner Treß (herausgegeben von), Franz Werfel und der Genozid an den Armeniern, Berlin/Boston, Walter de Gruyter GmbH, 2015. Per una bibliografia delle opere digitalizzate di e su Franz Werfel: Works by or about Franz Werfel at Internet Archive.

[3]Sul finire dell’Ottocento, i nazionalisti turchi che volevano trasformare in senso costituzionale e parlamentare il vecchio e decadente Impero Ottomano avevano dato vita ad un movimento politico denominato “Giovani Turchi” (Jöntürkler). Nel 1909, il “Comitato Unione e Progresso” (“İttihad ve Terakki Cemiyeti”), espressione organizzativa del movimento, aveva deposto con un colpo di stato il sultano Abdul-Hamid II, che si era opposto ai progetti riformatori dei “Giovani Turchi”, sostituendolo con il fratello Maometto V. Con lo scoppio della prima guerra mondiale il Comitato aveva affidato il governo dell’Impero a un direttorio militare (un triunvirato) formato da: Talât Paşa, Cemal Paşa, Enver Paşa (i principali responsabili del genocidio armeno). Per un approfondimento: la voce Young Turks nell’Enciclopedia Britannica, <http://www.britannica.com/topic/Young-Turks-Turkish-nationalist-movement>; Marcello Flores, Il genocidio degli armeni, Bologna, Il Mulino, 2015, in particolare il capitolo II, La rivoluzione dei Giovani turchi, pp. 49-75.

[4]Il Musa Dagh è una montagna nel gruppo dei Monti Nur o Amanos, propaggine orientale della catena dell’Anti-Tauro nella provincia di Hatay dell’odierna Turchia, che ha come capoluogo Antiochia (Antakya), <https://en.wikipedia.org/wiki/Musa_Dagh>.

[5]Alma Maria Schindler vedova Mahler (Vienna, 31 agosto 1879 – 11 dicembre 1964, New York) figlia del noto paesaggista Emil Jakob Schindler, vedova del compositore Gustav Mahler, aveva sposato nel 1929 Franz Werfel, dopo un precedente matrimonio con l’architetto-urbanista Walter Grophius. Per una biografia completa di Alma Mahler, straordinaria figura di donna, d’intellettuale e di artista nella Mitteleuropa dei primi decenni del Novecento, si può consultare la voce relativa di Wikipedia nell’edizione in lingua tedesca: <https://de.wikipedia.org/wiki/Alma_Mahler-Werfel>.

[6]La prefazione, firmata F.W. (Breitestein, Frühjahr 1933), è stata inserita anche nella prima edizione in lingua italiana del romanzo (Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, 2 volumi, Milano-Verona, Mondadori, 1935). La traduzione dal tedesco è di Cristina Baseggio. Questa traduzione (certamente datata, ma fedele all’originale), è stata mantenuta anche nelle successive edizioni fino alla più recente (Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, Milano, Corbaccio, 2015), ed è stata utilizzata nel presente articolo per tutti i brani estratti dal romanzo.

[7]Werfel non usa nel romanzo l’espressione “genocidio” per indicare i massacri e la deportazione degli armeni durante la prima guerra mondiale, in quanto il termine verrà coniato nel 1944 dall’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin e troverà la sua definizione giuridica come crimine internazionale contro l’umanità solo nel 1948 nella Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio delle Nazioni Unite. Sull’argomento: la voce “Genocidio” della Enciclopedia dell’Olocausto (edizione in lingua italiana della Holocaust Encyclopedia), <https://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?ModuleId=10007043> e la voce dedicata a Raphael Lemkin nell’edizione in lingua inglese di Wikipedia, <https://en.wikipedia.org/wiki/Raphael_Lemkin>.

[8]Nella creazione del personaggio di Gabriele Bagradian, Werfel si era ispirato a Mosè Kalousdian, il comandante armeno dei “resistenti” del Musa Dagh ( <https://de.wikipedia.org/wiki/Moses_Der_Kalousdian>).

[9]Sulla città di Zeitun e sui massacri degli armeni che si sono svolti in quella località: la voce relativa dell’Enciclopedia italiana (1937), <http://www.treccani.it/enciclopedia/zeitun_%28Enciclopedia_Italiana%29/>.

[10]Johannes Lepsius (Potsdam, 15 dicembre 1858 – 3 febbraio 1926, Merano), figlio dell’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius, è stato un teologo e missionario protestante, particolarmente impegnato nell’azione umanitaria in difesa del popolo armeno. Durante la prima guerra mondiale aveva pubblicato una raccolta di documenti e testimonianze sul genocidio degli armeni (Bericht über die Lage des armenischen Volkes in der Türkei – “Rapporto sulla situazione del popolo armeno in Turchia”), in cui egli documentava e condannava i massacri e la deportazione nel deserto siriano di quella minoranza etnica. Il “Rapporto”, che in una seconda edizione comprendeva il testo dell’incontro di Lepsius con Enver Pascià, verrà utilizzato da Franz Werfel per la stesura del romanzo (<https://de.wikipedia.org/wiki/Johannes_Lepsius>).

[11]Enver Pascià (Istambul, 1881 – Čeken, Tagichistan, 1922) è stato un militare e un uomo politico che ha svolto un ruolo di primo piano nel movimento dei “Giovani Turchi”. Ministro della guerra per l’intera durata del primo conflitto mondiale fece parte del triunvirato che governò l’Impero Ottomano tra il 1914 e il 1918 e che progettò ed attuò il genocidio degli armeni. Trasferitosi, alla fine della guerra, nel Turkestan, morì nel 1922 combattendo contro le forze sovietiche. Per ulteriori informazioni biografiche su Enver Pascià, si veda la voce relativa di Wikipedia, edizione in lingua inglese: <https://en.wikipedia.org/wiki/Enver_Pasha>.

[12]Nelle parole che Werfel fa pronunciare a Enver Pascià, nell’incontro con Johannes Lepsius, emerge una concezione della natura del “male”, da parte dello scrittore, che richiama quello che sarà il pensiero di Hanna Arendt sul comportamento dei nazisti nei confronti degli ebrei. La Arendt, che nel 1961 seguirà a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann, sosterrà in Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil (1963) che il “male” perpetrato dal criminale nazista non doveva essere imputato ad una sua indole diabolica, quanto piuttosto ad una totale inconsapevolezza dell’amoralità delle sue azioni. Analogamente, Werfel, attraverso Lepsius, scopre in Enver Pascià «l’ingenuità inquietante, quasi persino innocente, della perfetta empietà».

[13]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., pp. 154-155.

[14]Sul sultano Abdülhamid II (Abdul-Hamid II, detto il Sanguinario) e sui massacri degli armeni del 1894-96: le voci relative dell’Enciclopedia Britannica, <http://www.britannica.com/biography/Abdulhamid-II>, e di Wikipedia edizione in lingua italiana, <https://it.wikipedia.org/wiki/Abdul_Hamid_II>; Marcello Flores, Il genocidio degli armeni, cit., in particolare I massacri del sultano rosso, pp. 36-47.

[15]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., pp. 223-224.

[16]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 107.

[17]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 410.

[18]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 544.

“Quando -nel 1933- Franz Werfel terminò Die vierzig Tage des Musa Dagh, egli poteva appena prevedere genericamente la futura corrispondenza tra la vicenda del suo romanzo e gli orrori del nazi-fascismo. E’ pero significativo che l’anno stesso dell’avvento di Hitler al potere fosse pubblicata in lingua tedesca la storia di un popolo atrocemente perseguitato, ed è certo che la vicenda degli armeni massacrati e della resistenza di un piccolo gruppo di essi contro i turchi fosse per lo scrittore [e per i lettori] annuncio delle paure che già si addensavano in quelle ore. L’elite politico-militare turca che Werfel accusò come responsabile del genocidio contro gli armeni era nata da una sedicente rivoluzione – come poi pretesero di se stessi i nazi-fascisti -, e quegli «homines novi» possedevano tutto il cinismo, le ambizioni e la criminalità di Hitler e dei suoi complici” (Furio Jesi, Germania segreta, Milano, Silva Editore, 1967, pp. 170-171).

[19]Sui dervisci: la voce relativa in Wikipedia, edizione in lingua inglese, <https://en.wikipedia.org/wiki/Dervish>.

[20]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 620.

[21]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 723.

[22]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 749.

[23]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, cit., p. 850.

[24]Gli armeni del Musa Dagh, trasportati dalle navi della marina da guerra francese, giungeranno il 14 settembre del 1915 a Port Said in Egitto, dove verranno sistemati in un campo profughi. Terminata la prima guerra mondiale, agli armeni verrà concesso di ritornare nelle loro terre, sotto la protezione dell’amministrazione militare francese. Nel 1939, essi dovranno di nuovo abbandonare i villaggi del Musa Dagh, in seguito alla riconsegna, da parte della Francia, della Cilicia alla Turchia, stabilendosi definitivamente nella valle della Bekaa, in Libano (Flavia Amabile e Marco Tosatti, La vera storia del Mussa Dagh, cit.).

[25]Sulla fortuna del romanzo di Franz Werfel si possono consultare le voci di Wikipedia edizione in lingua inglese: <https://en.wikipedia.org/wiki/The_Forty_Days_of_Musa_Dagh#Initial_reception_and_censorship>,

<https://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_response_to_The_Forty_Days_of_Musa_Dagh>;

il saggio di Alessandro Costazza, Le storie che vanno a riempire le «lacune dei libri di storia turchi». Il genocidio degli armeni nei romanzi di Franz Werfel e di Edgar Hilsenrath, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano”, Vol. LXIV, Fascicolo I, Gennaio-Aprile 2011, in versione elettronica:

<http://users.unimi.it/dililefi/costazza/Pubblicazioni/Werfel-Hilsenrath.pdf>;

l’articolo di Gian Paolo Marchi, Italiani & Armeni, pubblicato il 23/06/2014 nella rubrica culturale del quotidiano L’Arena, in versione digitale: <http://www.larena.it/home/cultura/italiani-armeni-1.3094047>;

la nota introduttiva di James Reidel alla nuova edizione del romanzo in lingua inglese (The Forty Days of Musa Dagh, Boston, David R. Godine, 2012), in versione elettronica: <http://www.nybooks.com/daily/2015/04/24/epic-armenian-genocide/>; la raccolta di saggi a cura di Roy Knocke, Werner Treß, Franz Werfel und der Genozid an den Armeniern, Berlin/Boston, Walter de Gruyter GmbH, 2015.

[26]Franz Werfel, The Forty Days of Musa Dagh, trans. Geoffrey Dunlod, New York, The Viking Press, 1934.

[27]Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, 2 volumi, traduzione dal tedesco di Cristina Baseggio, Milano – Verona, Mondadori, 1935.

[28]Franz Werfel, Les 40 jours du Musa Dagh, roman traduit de l’allemand par Paule Hofer-Bury, Paris, Éditions Albin Michel, 1936.

[29]Sulla censura a cui fu sottoposto il romanzo nella Germania nazista: <https://en.wikipedia.org/wiki/The_Forty_Days_of_Musa_Dagh#Initial_reception_and_censorship>.

[30]Su Kemal Atatürk (Mustafa Kemal) e sulla nascita della Repubblica di Turchia si vedano le voci relative dell’Enciclopedia Britannica online: <http://www.britannica.com/biography/Kemal-Ataturk> e dell’Enciclopedia Treccani online: <http://www.treccani.it/enciclopedia/mustafa-kemal-ataturk_(Dizionario_di_Storia)/>.

[31]Maggiori notizie sulla vicenda si trovano nella voce dedicata al romanzo da Wikipedia – edizione in lingua inglese: <https://en.wikipedia.org/wiki/The_Forty_Days_of_Musa_Dagh#Objections_and_obstructions_of_film_adaptations>.

[32]Per un approfondimento, le voci di Wikipedia, edizioni in lingua inglese e tedesca: <https://en.wikipedia.org/wiki/The_Forty_Days_of_Musa_Dagh>;

<https://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_response_to_The_Forty_Days_of_Musa_Dagh>;

<https://de.wikipedia.org/wiki/Die_vierzig_Tage_des_Musa_Dagh>.

Sulla comparazione tra il genocidio degli armeni e la Shoah: Hans-Lukas Kieser, Dominik J. Schaller (Hrsg.), Der Völkermord an den Armeniern und die Shoah – The Armenian Genocide and the Shoah, Zürich, Chronos Verlag 2002; Jonathan Wilson, Holocaust and Armenian Genocide Compared, <http://www.armeniangenocidedebate.com/holocaust-and-armenian-genocide-compared>.

[33]Tra le recenti riedizioni/nuove edizioni del romanzo: Franz Werfel, Die vierzig Tage des Musa Dagh, Berlin, Insel Verlag GmbH, 2016; Franz Werfel, The Forty Days of Musa Dagh, trans. Geoffrey Dunlod, Boston, David R. Godine Publisher, 2012; Franz Werfel, Les 40 jours du Musa Dagh, roman traduit de l’allemand par Paule Hofer-Bury, Paris, Éditions Albin Michel, 2015; Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, traduzione dal tedesco di Cristina Baseggio, Milano, Corbaccio, 2015.

[34]La ricerca su Google è stata effettuata assumendo come data di riferimento il 31/03/2016.

[35]<http://www.amazon.com/books-used-books-textbooks/b?ie=UTF8&node=283155>.

[36]<http://www.abebooks.com/>.

[37]<http://www.ebay.com/>.

[38]<https://www.google.com/search?tbm=bks&q=die+vierzig+tage+des+musa+dagh>;

<https://www.google.com/search?tbm=bks&q=%22the+forty+days+of+musa+dagh%22>;

<https://www.google.com/search?tbm=bks&q=les+40+jours+du+musa+dagh>;

<https://www.google.com/search?tbm=bks&q=i+quaranta+giorni+del+mussa+dagh>.

[39]<https://scholar.google.it/scholar?q=die+vierzig+tage+des+musa+dagh&btnG=&hl=it&as_sdt=0%2C5>;

<https://scholar.google.it/scholar?start=10&q=the+forty+days+of+musa+dagh&hl=it&as_sdt=0,5>;

<https://scholar.google.it/scholar?q=les+40+jours+du+musa+dagh&btnG=&hl=it&as_sdt=0%2C5>;

<https://scholar.google.it/scholar?q=i+quaranta+giorni+del+mussa+dagh&btnG=&hl=it&as_sdt=0%2C5>.

[40] Tra i Meta OPAC, che consentono l’interrogazione simultanea di numerosi cataloghi in linea di tutto il mondo, segnaliamo: <http://kvk.bibliothek.kit.edu/?kataloge=DDB&digitalOnly=0&embedFulltitle=0&newTab=0>;

<https://www.worldcat.org/>. Con riferimento all’Italia: <http://www.internetculturale.it/>.

[41]Dopo il viaggio in Medio Oriente (1929), dove aveva raccolto diverse testimonianze sulle deportazioni degli armeni e sulla vicenda resistenziale del Musa Dagh, Werfel aveva preceduto e accompagnato la stesura del romanzo con un’intensa attività di studio della storia degli armeni nell’Impero Turco. La sua conoscenza delle tradizioni, della cultura, della stessa mentalità di quel popolo traspare in tutte le pagine del romanzo. Romanzo “storico”, dove la “storia” entra sì nel racconto ma non impone allo scrittore una fedeltà assoluta. A chi gli aveva fatto notare alcune inesattezze nella ricostruzione degli avvenimenti del Musa Dagh, Werfel aveva risposto: «Il mio scopo non è l’esatta riproduzione storica di ciò che è successo, bensì la creazione di un’opera letteraria!» (citato in Peter Stephan Jungk, Franz Werfel. Eine Lebensgeschichte, Frankfurt am Main, Fischer, 1987, p. 218).

[42]Per un approfondimento sul ruolo della letteratura nella storiografia: Isabella Zanni Rosiello, Storia e letteratura. I romanzi come fonte storica, “Storicamente”, 9 (2013), no. 7, <http://storicamente.org/zanni>; Paolo Favilli (a cura di), Il letterato e lo storico. La letteratura creativa come storia, Milano, FrancoAngeli, 2013.

[43]Per un panorama internazionale dei siti web dedicati al genocidio armeno: Antonio Prampolini, Il genocidio armeno in rete: parole e immagini sul primo “Olocausto” del ‘900, in Novecento.org, n. 6, luglio 2016, <http://www.novecento.org/dossier/il-genocidio-armeno/il-genocidio-armeno-in-rete-parole-e-immagini-sul-primo-olocausto-del-900/>. Il romanzo di Franz Werfel è stato oggetto, nel 2015, di diverse iniziative culturali e artistiche: in Germania, presso il Teatro di Stato di Norimberga, più di duecento attori hanno letto il romanzo e a Praga (la città natale dello scrittore) si è svolta una giornata di studio sul valore letterario e sulla rilevanza storiografica del capolavoro di Werfel, <http://armeniangenocide100.org/en/200-german-actors-to-read-40-days-of-musa-dagh-for-40-consecutive-hours/>.

[44]La Treccani, sia nella versione online che in quella cartacea, non dedica una voce specifica ai Quaranta giorni del Mussa Dagh, ma a Franz Werfel: <http://www.treccani.it/enciclopedia/franz-werfel/> (Enciclopedie on line);

<http://www.treccani.it/enciclopedia/franz-werfel_(Enciclopedia-Italiana)/>: (edizione cartacea, 1937).

Idem per l’Enciclopedia Britannica: <http://www.britannica.com/biography/Franz-Werfel#ref12414> e per la Larousse:<http://www.larousse.fr/encyclopedie/personnage/Werfel/149731>.

Nell’edizione in lingua tedesca di Wikipedia (alla data del 31/03/2016), la voce dedicata al romanzo di Werfel, nonostante l’eccessiva schematicità, merita ugualmente di essere consultata: <https://de.wikipedia.org/wiki/Die_vierzig_Tage_des_Musa_Dagh>. Prive di qualunque interesse sono, invece, le voci dell’edizione in lingua francese e italiana: <https://fr.wikipedia.org/wiki/Les_Quarante_Jours_du_Musa_Dagh>, <https://it.wikipedia.org/wiki/I_quaranta_giorni_del_Mussa_Dagh>.

[45]<https://en.wikipedia.org/wiki/The_Forty_Days_of_Musa_Dagh>.

[46]<https://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_response_to_The_Forty_Days_of_Musa_Dagh>.

[47]<https://en.wikipedia.org/wiki/Franz_Werfel>.

[48]Per consultare le varie voci dedicate al genocidio armeno nell’edizione in lingua inglese di Wikipedia, si veda la Category:Armenian Genocide, all’indirizzo <https://en.wikipedia.org/wiki/Category:Armenian_Genocide>.

[49]In aggiunta a quelli già citati nelle note precedenti, ci limitiamo qui a segnalare, a titolo puramente indicativo, gli indirizzi di alcuni siti o di liste di Google utili per la costruzione di un ipertesto sul romanzo di Franz Werfel: <http://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/armenian_genocide> (la storia del genocidio armeno); <https://www.google.it/search?q=mappe+genocidio+armeno&tbm=isch&imgrc=6wk5MR3C1ysZ0M%3A> (le mappe del genocidio armeno); <https://www.google.it/search?q=fotografie+deportazioni+armene&tbm=isch> (le fotografie delle deportazioni); <https://www.google.it/search?q=musa+dagh+photography&tbm=isch> (le immagini della “Montagna di Mosè”, le fotografie dei resistenti armeni e del loro salvataggio via mare); <https://www.google.it/search?q=musa+dagh+audio+video&tbm=vid> (gli audiovisivi sulla vicenda del Musa Dagh: film, documentari, conferenze, spettacoli, ecc.).